Merkel e Hollande, l’occasione perduta dell’Europa

Ieri a Strasburgo si sono incontrate, e in parte scontrate, due diverse Europe: quella delle istituzioni sovranazionali (il padrone di casa era il Parlamento) e quella degli Stati membri. Hollande e Merkel hanno parlato di questioni che riguardano tutti, avendo però in mente le priorità e gli interessi dei loro due Paesi. Il presidente francese si è concentrato sul tema della sicurezza e sulla minaccia dell’Isis, rivendicando il ruolo chiave della Francia e auspicando maggiore sostegno e aiuti da parte degli altri governi. La Cancelliera si è soffermata in particolare sul tema dei rifugiati, sottolineando le iniziative tedesche e la necessità di maggiore condivisione degli oneri fra Paesi. Merkel non ha quasi mai nominato l’Unione (anche se ha riconosciuto che occorre rimediare agli «errori concettuali» dell’euro). Hollande ha fatto qualche cenno in più, arrivando ad evocare la «federazione di Stati» come obiettivo strategico. Ma ha subito aggiunto che non si dovrà mettere in discussione la sovranità nazionale.

Chi si aspettava dal famoso motore franco-tedesco una proposta forte sull’Unione politica e la riforma dell’euro è rimasto deluso. Nei due discorsi è più volte affiorato il desiderio di consolidare la formula «2 più 26»: l’iniziativa e l’intesa fra Berlino e Parigi come precondizione per le decisioni comuni. E dunque una preferenza per il cosiddetto metodo intergovernativo, incentrato sul Consiglio, che ha preso sempre più piede durante gli ultimi anni. I l dibattito con i membri del Parlamento è stato molto acceso e ha fatto emergere due pericolosi conflitti, i quali rischiano non solo di provocare lo stallo delle riforme, ma di minare le basi stesse della costruzione europea. Il primo contrappone la sfera interna della Ue (le istituzioni e le politiche «comuni») e quella esterna, in cui si confrontano gli interessi dei governi nazionali e le loro perduranti «ragioni di Stato». Il secondo conflitto riguarda il ruolo del direttorio franco-tedesco, da molti peraltro considerato come un paravento per il predominio della Germania.

Non è certo la prima volta che il processo d’integrazione s’inceppa per poi ripartire. Oggi siamo però di fronte ad una grave crisi di legittimità. Quote molto significative di elettori e importanti segmenti di élite si interrogano sempre più seriamente sulla validità delle decisioni di Bruxelles e sulla disparità di influenza fra la Germania e gli altri. I conflitti sono il sale della politica, ciò che la induce a «prevenire l’ineluttabile, riuscire nell’improbabile, realizzare le speranze dei cittadini» (secondo una bella frase di Mitterrand). Ma se la legittimità precipita sotto soglie di sicurezza, i conflitti diventano molto difficili da ricomporre, la politica distrugge invece di costruire.

Bombardati dalle accuse, i due leader hanno reagito in modo diverso. Hollande ha fatto il leone ferito, ribadendo che il ruolo guida del proprio Paese in Europa è un’eredità della storia del Novecento. Nigel Farage ha esagerato dicendo che la Francia è ormai diventata una «mezza calzetta». Ma è innegabile che Parigi da sola non sia più in grado di controbilanciare Berlino (un fatto che apre oggettivi spazi di manovra all’Italia). Angela Merkel ha ascoltato il dibattito con un volto impassibile e alla fine ha dato solo qualche risposta imbarazzata. Forse si è accorta che la Germania sta diventando il problema politico per l’Europa. Speriamo abbia capito che spetta proprio a lei trovare la soluzione.

Questo articolo è comparso anche su Il Corriere della Sera dell’8 ottobre 2015

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