di Maurizio Ferrera
Rendere più sicura e sostenibile la vita sulla terra richiede grandi sforzi in opere pubbliche e investimenti: proprio quelle attività che il nostro stato fatica a svolgere. In passato, si è sempre puntato il dito contro la mancanza di risorse, dati i noti vincoli di bilancio. L’ingente quantità di fondi messi a disposizione dalla UE hanno oggi risolto questo problema. Parlando al recente Forum “Verso Sud”, Raffaele Fitto ha dichiarato che per il periodo 2023-2027 (quattro anni) la dote finanziaria per il Mezzogiorno è pari a 350 miliardi fra PNRR, fondi strutturali e di coesione e fondi nazionali. Non sono tutti per la sostenibilità ambientale, ma certo l’alibi delle risorse non tiene più.
Ha perso mordente anche un altro alibi: lo scetticismo e persino le resistenze dell’opinione pubblica. Nei paesi europei sono quasi scomparsi i negazionisti (in Italia sono il 2%) e la maggioranza dei cittadini (55%) si è convinta che il deterioramento dell’ eco-sistema planetario vada affrontato con urgenza, pensando al proprio futuro (7 su 10) e in particolare a quello delle nuove generazioni (9 su 10). Tradizionalmente piuttosto rari e distanziati nel tempo, gli eventi estremi stanno diventando sempre più frequenti: in Italia nel 2022 sono aumentati del 55% rispetto all’anno prima (310 in numero assoluto). Più del 70% degli italiani ha avuto una esperienza diretta di qualche evento estremo. Gli abitanti delle polazione residente in aree esposte al rischio di alluvioni (65% in Emilia Romagna) , frane, incendi boschivi è aumentata rispetto a dieci anni fa.
Nella loro drammaticità, questi dati segnalano che la popolazione è pronta ad appoggiare politiche ambiziose e incisive per contrastare i rischi ambientali.
Il nodo che resta da sciogliere è la capacità di attuazione. Al di là delle polemiche strumentali, la risposta pubblica alle emergenze è in media efficace, riesce a mobilitare le risorse e le competenze necessarie: la protezione civile italiana ha un’ottima reputazione. Siccome un evento estremo causa danni immediati, l’ossessione per le procedure cede il passo alle esigenze strumentali, in chi governa si attiva il vincolo (ma anche l’interesse) a rispondere ai bisogni contingenti dei cittadini. Le cose cambiano quando si passa dal breve al medio e lungo periodo e si deve definire e realizzare un’agenda di ampio respiro, imperniata sulla prevenzione.
L’ultimo Rapporto Istat sull’ Agenda 2030 sottolinea i progressi del nostro paese per quanto riguarda le emissioni inquinanti, ma mette in luce molti ritardi sul fronte dell’obiettivo 15 per lo sviluppo sostenibile, che riguarda la protezione della biodiversità, la gestione sostenibile delle foreste, la frammentazione del territorio naturale e agricolo, il consumo del suolo. Su quest’ultimo versante il Rapporto segnala addirittura un peggioramento. Lombardia, Veneto e, appunto, Emilia Romagna sono fra le regioni più cementificate, ove il territorio ha perso buona parte delle proprie difese naturali . La popolazione residente in aree esposte al rischio di alluvioni (65% in Emilia Romagna) , frane, incendi boschivi è aumentata rispetto a dieci anni fa.
Ancora qualche giorno fa, il Ministro per l’Ambiente Pichetto Fratin ha chiesto “tempi certi per le decisioni e per le opere”. Viene da dire: perché non lo si fa? chi mai non sarebbe d’accordo? E invece è proprio questo il problema: la quantità e la forza dei poteri di veto. I processi di attuazione degli investimenti pubblici poggiano su un coacervo di regole che prevedono la partecipazione di una spropositata pluralità di attori. Molti di questi possono chiudere il loro “passaggio a livello” e creare un ingorgo non perché può passare un treno (qualche danno non previsto dalle norme) ma al solo scopo di difendere i propri interessi.
La lotta al cambiamento climatico e più in generale l’agenda per lo sviluppo sostenibile richiedono all’amministrazione pubblica capacità straordinarie di progettazione, attuazione, monitoraggio e valutazione. Per lo stato italiano la sfida è gigantesca, visto che non siamo ancora riusciti a dotarci delle capacità ordinarie tipiche dell’amministrazione novecentesca. Il governo Draghi aveva promesso semplificazioni “brutali” e un massiccio reclutamento di giovani competenze. Dispiace dire che i progressi sono stati deludenti. Nella cultura anglosassone, il dibattito pubblico avrebbe da tempo a disposizione almeno un “libro bianco” in cui si identificano con precisione i colli di bottiglia e si propongono le soluzioni. Da noi i poteri di veto riescono a impedire anche questo elementare primo passo. Ciò che a loro importa non è la tutela dell’ambiente, ma quella dei propri orticelli.
Questo articolo è stato anche pubblicato su Il Corriere della Sera del 20 Maggio 2023