Archivi del mese: ottobre 2019

Dopo Il Voto In Umbria- Gli Elettori Disancorati E L’offerta Che Non C’è

di Maurizio Ferrera

Sulla dimensione destra-sinistra, l’Italia ha da sempre mostrato una maggiore polarizzazione ideologica: tanti elettori situati verso i poli estremi. L’alta percentuale di elettori che oggi rifiutano di collocarsi suggerisce tuttavia un’altra interpretazione. L’irrilevanza delle nozioni di «destra» e «sinistra» è stata uno dei cavalli di battaglia dei Cinque Stelle (più di recente anche della Lega, almeno in parte). Evidentemente la loro campagna ha fatto presa. Il partito più votato dai non collocati è infatti diventato proprio il movimento Cinque Stelle, il secondo la Lega. Una conferma in negativo viene anche dal dato umbro. La metà del voto grillino ha alimentato l’astensione. Alleandosi con il Pd (e Leu) i Cinque Stelle hanno fatto una scelta di campo che per molti elettori ha tradito la supposta natura post-ideologica del movimento e il suo posizionamento sulla nuova dimensione popolo-élite (obiettivamente difficile da mantenere quando si diventa élite, appunto).

Qual è il profilo degli elettori di centro? Dai sondaggi si possono cogliere alcuni caratteri e tendenze generali, che peraltro valgono anche per i centristi degli altri Paesi. Si tratta di elettori appartenenti al ceto medio, più giovani che anziani, con buoni livelli di istruzione. Non stanno male dal punto di vista economico, ma molti di loro si sentono potenzialmente vulnerabili e ritengono che la propria condizione sia un po’ peggiorata negli ultimi cinque anni. Sono preoccupati di poter perdere occupazione e reddito e dunque non sono ottimisti nei confronti del futuro. Tendono a fidarsi dell’Unione europea e delle istituzioni in generale. Non temono gli sbarchi, ma vorrebbero che il fenomeno immigrazione fosse meglio gestito. Se sono giovani o adulti con una famiglia propria, dichiarano di ricevere prestazioni di welfare poco adeguate ai loro bisogni. Per quanto riguarda, infine, le scelte di voto, c’è stato un cambiamento. In passato i centristi tendevano a votare per il Pd o per Forza Italia. Poi molti sono passati ai Cinque Stelle da un lato e alla Lega dall’altro. Alle Europee il voto centrista per i Cinque Stelle è diminuito (fenomeno confermato anche in Umbria), mentre quello per la Lega è lievemente aumentato. Per il Pd vota più o meno il 17% dei centristi. Da notare che circa il 20% degli elettori di centro si è astenuto alle Europee oppure ha votato scheda bianca.

Tiriamo le fila. L’Italia ha oggi una quota molto consistente di elettori «disancorati» (quel 26% che rifiuta di collocarsi), senza più i punti di riferimento su valori e politiche pubbliche forniti nel passato dalle nozioni di destra, sinistra e centro. Oltre ai non collocati, possiamo includere in quest’area anche un quinto dell’elettorato centrista, che si rifugia nell’astensione (sul totale degli elettori: fra il 5% e il 6%). Dal canto loro, i centristi che esprimono una preferenza di voto non hanno un interlocutore stabile e credibile: sono ondivaghi perché «non sanno chi votare». Dato il loro profilo, sarebbero interessati a un’offerta politica moderata e pragmatica, calibrata sulle loro esigenze: più occupazione, più welfare per giovani e famiglie, più prospettive di crescita e mobilità sociale, politiche migratorie intelligenti e così via. È probabile che una tale offerta potrebbe attrarre anche molti dei non collocati. Il problema è che questa offerta non c’è e non riesce ad emergere. Si genera così un circolo vizioso: cresce la frustrazione dei centristi, la loro fuga verso l’astensione, il loro allontanamento dalla politica. Ma senza la spina dorsale del centro quale futuro può avere il sistema politico italiano? Le parole che vengono in mente sono: frammentazione, polarizzazione, instabilità, ingovernabilità. Con un mondo sempre più diviso e conflittuale e una Europa ancora molto debole dopo la lunga crisi, c’è davvero poco da stare allegri.

 

Questo articolo è comparso anche su Corriere della Sera del 30 Ottobre 2019

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Anomalie Politiche – Le Urne Senza Centro

di Maurizio Ferrera

Alle elezioni europee dello scorso maggio, basate sul sistema proporzionale, i partiti si erano presentati ciascuno per conto proprio. In Umbria si è invece votato con il sistema maggioritario a un turno. L’opzione più conveniente per i partiti era quella di presentarsi in coalizione e così è stato. Gli elettori si sono trovati di nuovo a scegliere fra destra e sinistra. Data l’egemonia della Lega a destra e lo spostamento a sinistra del Pd, per gli elettori di centro la scelta non è stata facile. È difficile fare ragionamenti generali a partire da un dato regionale. Ma vale comunque la pena di sollevare qualche interrogativo proprio sull’area di centro, che nella maggioranza dei Paesi Ue è la spina dorsale del sistema politico.

Quanti sono innanzitutto gli elettori che si autocollocano in quest’area? I sondaggi indicano un valore intorno al 26%, di contro al 22% di chi si sente più vicino alla sinistra e al 26% più vicino alla destra. Un altro 26% circa non si colloca. Quattro spicchi di dimensioni pressoché uguali. Una equidistribuzione che sembra naturale, ma che diventa del tutto anomala se guardiamo ad altri Paesi. In Germania gli elettori centristi sono più della metà (52%) e i non collocati solo il 13%. In Francia, Spagna, Olanda, Grecia, Svezia e Finlandia coloro che si dichiarano di centro sono ben al di sopra del 30%, i non collocati sotto il 18% (www.resceu.eu).

 

Questo articolo è comparso anche su Corriere della Sera del 30 Ottobre 2019

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La Svolta Smarrita

Maurizio Ferrera

Ormai sembra chiaro. La prossima legge di Bilancio sarà il solito vestito di Arlecchino: tante pezze, cucite fra loro in modo frettoloso, il piatto forte è la sterilizzazione dell’Iva, il resto sarà un mix di varie misure, ancora da definire (riduzione del cuneo, salario minimo, disincentivi all’evasione, assegno unico per i figli e altre ancora). Data la scelta di non toccare né quota cento né il reddito di cittadinanza, le risorse sono scarse. Se le cose non cambieranno durante l’iter parlamentare, le promesse di «svolta» del governo Conte 2 rischieranno un’amara smentita.

Il nuovo governo non è però condannato al piccolo cabotaggio. Vi sono infatti altri strumenti, oltre al bilancio pubblico, che si possono usare per promuovere crescita, equità e coesione sociale: politiche d’indirizzo e coordinamento, regole e incentivi capaci di riorientare scelte e comportamenti, snellimento delle procedure, razionalizzazioni organizzative. Sotto questi profili, le cose utili da fare sono tantissime.

Prendiamo la scuola. Il neo-ministro Fioramonti non riceverà i «suoi» tre miliardi. A dotazione invariata, potrebbe però tenersi impegnato su alcuni versanti cruciali.

L’istruzione tecnica superiore, innanzitutto.Solo l’1% dei nostri diplomati si iscrive a questa filiera (che pure assicura le offerte d’impiego), di contro a una media Ocse del 18%. Gli Its (istituti tecnici superiori) sono pochissimi e mal distribuiti sul territorio. Perché non si fanno progressi? Manca un quadro nazionale di riferimento e mancano i Piani di sviluppo regionali previsti
dalla legge istitutiva. Non si riescono neppure a spendere
i 50 milioni già stanziati, a causa di procedure di assegnazione a dir poco bizantine.

Sempre nella scuola, c’è poi la sfida delle competenze digitali: un tema non secondario, da cui dipendono produttività e competitività. Dal 2015 esiste un Piano nazionale per la scuola digitale, con fondi già stanziati. Però solo il 20% dei docenti ha ottenuto una qualche certificazione e un quarto delle scuole non ha organizzato alcuna iniziativa. Gli ultimi provvedimenti del governo gialloverde hanno distribuito piccoli finanziamenti a pioggia (compresi 210 mila euro «complessivi» per promuovere la «diffusione capillare» dell’innovazione didattica e digitale tramite social media). A poco serviranno i (ben) 120 docenti esperti nel digitale appena reclutati, dopo un macchinoso concorso, per formare colleglli e studenti. Le risorse contano, ma spesso gli incentivi contano di più. Giustamente il neoministro ha detto che occorre riformare l’intero sistema di formazione, reclutamento e carriera: lo stipendio finale di un docente italiano è metà di quello tedesco o olandese. La misura più irragionevole sarebbe però un aumento generale scollegato dalle valutazioni individuali (anche in termini di competenze digitali).

Osservazioni analoghe valgono anche per le politiche del lavoro. Qui la sfida più seria è l’esorbitante numero di neet, ossia giovani fra i 20 e i 34 anni che non studiano, non seguono percorsi di formazione e non lavorano. Nelle statistiche di Eurostat i neet italiani sono il 2596 delle corrispondenti classi di età, concentrati soprattutto al Sud. Dal 2014 è operativo il programma Garanzia Giovani, co-finanziato dalla Ue. Per la quota di neet, l’iniziativa è stata un mezzo fallimento. Solo il 1496 di questi giovani è stato intercettato e registrato, pochi hanno ricevuto offerte di lavoro o formazione. Colpa dei servizi pubblici per l’impiego? In parte sì. Ma anche colpa del ristagno economico meridionale. Che facciamo allora? Ci rassegniamo a sussidiare i disoccupati con il reddito di cittadinanza? È urgente adottare misure regolative e organizzative che rendano più efficiente la presa in carico dei neet da parte dei servizi per l’impiego e più in generale occorre farsi venire delle idee su come creare posti di lavoro (veri) al Sud.

Per finire, parliamo di ambiente. Il governo ha annunciato il lancio di un nuovo patto «verde», per il quale potrebbe legittimamente chiedere ulteriore flessibilità alla Ue. Ma serve un grosso lavoro preparatorio. Va riformulato il Piano nazionale per il clima e l’energia e va definita la Strategia per la riduzione dei gas serra. Fra le proposte per la legge di Bilancio vi è un piano di investimenti pluriennali da 50 miliardi. A cosa serviranno tutte queste risorse se poi non sapremo dove spenderle? E soprattutto se non riusciremo a spenderle?

Alla fine si arriva sempre lì: alle lacune (incompetenza, lentezza, rigidità) della nostra pubblica amministrazione. Invece di facilitare, in Italia la burocrazia continua a ostacolare tutto, senza se e senza ma. E allora diciamolo. Senza incidere nel profondo in questo settore, le politiche pubbliche italiane continueranno a fallire i loro obiettivi. Per svoltare sul serio bisogna partire da qui. Con pragmatismo e pazienza. Ma anche con una determinazione che nessun governo ha, fino ad oggi, saputo mostrare.

Questo articolo è comparso anche su Corriere della Sera del 04 Ottobre 2019

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